Bollicine: la spumantizzazione metodo classico
L’origine dei vini spumanti di qualità risale al 1600 ed alla tradizione vinicola della regione francese dello Champagne, ad opera del monaco benedettino Dom Perignon. Tuttavia, nel libro De salubri potu dissertatio del XIV secolo, scritto dal monaco benedettino Don Francesco Sacchi di Fabriano, si parla già di spumanti e spumantizzazione, a dimostrazione che mito verità storica non sempre coincidono.
Resta il fatto che la dicitura “metodo champenoise” è ovunque sinonimo di bollicine, anche se a partire dagli anni 90 può essere utilizzata solo ed esclusivamente per i vini prodotti nella regione dello Champagne, mentre per tutti gli altri viene applicata quella di “metodo classico”.
Il Regolamento CE 479/08 della normativa UE definisce lo spumante come “il prodotto ottenuto dalla prima e dalla seconda fermentazione alcolica di uve fresche, di mosto di uve, di vino, caratterizzato alla stappatura del recipiente da uno sviluppo di anidride carbonica proveniente esclusivamente dalla fermentazione e che, conservato a 20° C in recipienti chiusi, presenta una sovrapressione non inferiore a 3 bar dovuta all’anidride carbonica e per il quale il titolo alcolometrico totale delle partite (cuvée) destinate alla sua elaborazione non è inferiore a 8.5% vol”.
Ma in cosa consiste, in breve, la spumantizzazione metodo classico? Si tratta del processo di rifermentazione del vino in bottiglia, che avviene aggiungendo zucchero e lieviti al “vino di base”, imbottigliandolo ed attendendo almeno 15 mesi fino a 2-3 anni, con le bottiglie inclinate con la punta verso il basso. Periodicamente le bottiglie vengono mosse e ruotate in modo che le fecce, ovvero i residui dei lieviti esausti, vadano ad accumularsi verso il tappo.
Al termine del periodo della seconda fermentazione in bottiglia, le fecce vengono espulse stappando la bottiglia e facendole uscire (dègorgement o sboccatura). La bottiglia viene poi rabboccata con il cosiddetto “liquore di spedizione” (liqueur d’expedition) costituito da vino bianco finissimo, acquavite e saccarosio. In base alla quantità di liqueur aggiunto e del residuo zuccherino che ne deriva, gli spumanti vengono classificati in: extra brut, brut, extra dry, sec, demi sec, dolce.
In assenza di zuccheri nel liqueur d’expedition o se il vino viene rabboccato con lo stesso vino della stessa annata, lo spumante viene definito Brut Nature, Dosage Zèro o Pas Dosé.
A di là della tecnica pura e semplice, ci sono diversi fattori che determinano la qualità di un vino spumante, a partire da quanto avviene nel vigneto. Basse rese e vigne vecchie daranno certamente un’uva più ricca, le uve devono essere raccolte al giusto livello di maturazione e possibilmente con vendemmia manuale, in modo da selezionare e preservare solo i grappoli migliori. Dopo il conferimento in cantina ed una pressatura soffice, il mosto va immediatamente separato dalle bucce e sottoposto a decantazione per rimuovere le particelle estranee in sospensione. A questo punto, il mosto viene tradotto nei tini di fermentazione, dove fermenta per una decina di giorni a bassa temperatura ottenendo così un “vino di base” di qualità.
Ogni azienda custodisce gelosamente i propri segreti, soprattutto per quanto riguarda il liqueur de tirage, ovvero la combinazione di zucchero e lieviti aggiunti al vino di base al momento dell’imbottigliamento, responsabili della rifermentazione in bottiglia, e del liqueur d’esxpedition.
I vitigni più importanti utilizzati per gli spumanti metodo classico sono Chardonnay e Pinot Nero, ma sono ampliamene usati anche Pinot Bianco, Pinot Grigio, Pinot Meunier e Riesling, tuttavia negli ultimi anni è esplosa una vera e propria mania per le bollicine, per cui si producono spumanti metodo classico ormai a partire da quasi qualunque uva.
In Italia, le zone storicamente più legate alla spumantizzazione con metodo classico sono la Franciacorta, situata nella provincia di Brescia, in Lombardia, l’Oltrepò Pavese, sempre in Lombardia, il Trentino con la zona del Trento DOC ed il Piemonte con L’Alta Langa.